Riannodano i fili, in territorio nemico, quelli di Sic e Vanni Santoni e Gregorio Magini

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ottobre 8, 2013 di Tralerighe

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Ora la storia ci piace e tanto. Vuoi perché è flusso di rinascita, vuoi perché c’è Adele che in territorio nemico si muove con tenacia e passione, senza mai piegarsi alle ombre nere. Storia e storiaccia, composta da un mosaico di umanità varia alle prese con la coscienza e le idee.
Un pastone di visceri, carne, bandiere e corse giù per i campi o i dirupi o le anime di chi stava dalla parte giusta.  Tutto da ingollare, questo libro, perché non è solo un libro, bensì una cicatrice che si riapre e sapete bene che danni può fare, una cicatrice, quando si riapre.
Dicevo della storia, la grande storia che passa tra le vite dei protagonisti, che in egual misura decidono di affrontarla per farsela amica. Adele Curti,  la vedovella bianca, con le mani curate da borghesuccia, che impara la vita e a sistemare parti elettroniche per la Siemens. Sì, la stessa Siemens Werke di Berlino, che utilizzò le donne internate a Ravensbrück per costruire i suoi “pezzi di precisione”. E qui la storia si annoda – ma accade mille altre volte tra le pieghe di questo libro – con l’Olocausto e la storia del campo di concentramento per sole donne che si affacciava su un lago meraviglioso di proprietà personale di Himmler. Cercatela e leggetela, la storia di Ravensbrück.
Poi c’è Matteo, marinaio sul Gabbiano che in coppia con il Pellicano se ne stanno alla fonda a pescare pesci da prua. Attendono, le Corvette della regia Marina pronte a salpare per Malta, ma costrette a destini differenti.  E qui si compie il gesto che meglio di molti altri è sintesi e paradigma della storia.
Il tuffo.
Quello di Matteo diventa scelta (o spinta visto che cade con l’ex alleato), passaggio, momento cruciale della vita, che una volta che lo hai fatto non si torna più indietro. E così è per Matteo che corre verso città e mondi ideali.
Carpiato, all’indietro, rovesciato è invece il tuffo di Aldo Giavazzi, ingegnere aeronautico che, scappa, si nasconde, e lentamente trova anch’egli un luogo ideale, visionario, folle.
I tre sono fusi dallo stesso destino: Adele è moglie di Aldo e Matteo è fratello di Adele e anche in questo “In territorio nemico” colpisce; il fatto di aver costruire una famiglia come tante altre famiglie italiane, percorse dalla scossa della storia.
Ma c’è altro. Innanzitutto i luoghi della Resistenza. Santo Stefano Belbo e il Monferrato che non possono non farci tornare a tutta la letteratura resistenziale; e così nei volti dei partigiani incontriamo Fenoglio e Calvino, ma anche Meneghello e molti, molti, altri ancora. Tutti lassù con i loro sogni e gli Sten, le pistole Beretta, le Glisenti, i Thompson. Lassù a disegnare nuovi sentieri e contorni a pensare ad una nuova Italia libera dalla corrotta e indegna borghesia fascista. Tra flussi, idee e pensieri, scorre veloce questo libro che ci piacerebbe quasi averlo scritto noi e adottato come già abbiamo fatto per “Il sentiero dei nidi di ragno”, “Il partigiano Johnny”, “Piccoli maestri” e altri che spesso rileggiamo.
Al termine “In territorio nemico” ha un finale previsto e che la storia ci ha consegnato; questo perché è andata proprio così come ce l’hanno raccontata quelli di scrittura industriale collettiva.
E non potevamo finire senza parlare di questa cosa qua. SIC la si capisce solamente tra pagina 309 e pagina 311. Troviamo gli ideatori, Gregorio Magini e Vanni Santoni, i compositori – perché la bellezza del lavoro sta proprio in questa idea di aver creato una vera e propria orchestra letteraria – che sono 71  e ci piacerebbe citarli tutti ma 71 sono veramente tanti. Poi chi ha fatto le revisioni e due sezioni che ci son piaciute tanto: quella della consulenza storica (a questo proposito ben composta e senza sbavature sia in campo militare che in campo tecnico e tattico) e la squadra dedicata alla consulenza dialettale.
Insomma alla fine 150 teste che hanno “plasmato” questa opera che noi vorremmo definire spartiacque tra un prima, fatto ormai di nulla, e un dopo, che da ora potrà godere di questo nuovo libro.
A cosa ci riferiamo?
Ad un nuovo contenitore di progetti editoriali che possano nuovamente raccontare la Resistenza, digerita, ben composta, basata su documenti d’archivio, scevra da furbeschi mal di pancia (e perché ci viene in mente Pansa forse è scontato), che torna a tracciare sentieri, a indicare nuove strade per quella società che in montagna tra l’8 settembre del 1943 e il 25 aprile del 1945, fu sognata, idealizzata, progettata, e mai realizzata.
Ecco perché ci piace “In territorio nemico”, perché riannoda fili lacerati dal tempo, sfilacciati, recisi e che prima o poi qualcuno doveva andare a riacciuffare in fondo al mare accanto al Gabbiano o sulle montagne e o tra i banchi della fabbrichetta dove Adele si emancipa e diventa donna.
Forse ce n’era bisogno di tornare ad appiattirsi sull’erba con lo Sten ad aspettare la morte.
Milton è tornato.

andrea giannasi

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