Senza aver paura di leggere una biografia su Giorgio Almirante e sulla necessità di dover superare l’antifascismo

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dicembre 5, 2014 di Tralerighe

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Pochi, proprio perché “poco” si legge, si sono domandati come mai sia nato un piccolo scandalo dalla pubblicazione del libro di Aldo Grandi dal titolo “Almirante. Biografia di un fascista”. I più si sono fermati a quel nome che avrebbe una scomodità intrinseca, se non fosse che dopo la lettura del libro edito da Sperling, si ha un quadro netto di un uomo fedele al messaggio semplice e chiaro: “Non rinnegare e non restaurare” (la sintesi era di Augusto De Marsanich).
Il repubblicano (inteso come membro della RSI), il missino, il neorepubblicano (come membro del parlamento dell’Italia sorta dopo la seconda guerra mondiale), Giorgio Almirante spese la propria intera vita a far da collante tra la generazione nata intorno ai Littoriali e al “Libro e Moschetto”, nostalgica e revanscista, e quella dei giovani cresciuti con il mito del Duce, nervosi e schiacciati da un’epoca di scontri ideologici.
L’indagare queste società e queste generazioni (di destra e sinistra) sono gesto compiuto da Grandi con dovizia di particolari in altri libri come “I giovani Mussolini”, ma anche “Insurrezione armata” dove il giornalista e scrittore lucchese racconta l’esperienza di Potere Operaio.
La biografia di Almirante – così come quella precedente dello stesso autore su Giangiacomo Feltrinelli – è trasparente e nulla viene taciuto al lettore. Fin dalla premessa Grandi scrive: “Giorgio Almirante è stato, per più generazioni cresciute nel mito della Resistenza tradita, il rappresentante principale del fascismo che aveva condotto l’Italia alla tragedia e, poi, di quel neofascismo che non voleva saperne di accettare, nell’immaginario collettivo di un’opposizione agguerrita e spesso ideologizzata, l’avvento della democrazia”.
Ma ben presto tutto cambia e muta. Il Movimento Sociale si divide sull’alleanza con gli Stati Uniti, sulla piega borghese, sull’atteggiamento da tenere verso la Democrazia Cristiana. Il 1960, i fatti di Genova, sono i primi tentativi, tragici e sanguinosi, verso un accreditamento politico che lo stesso Almirante ricerca senza però “cedere” sulle proprie radici.
Qui emerge la cultura fascista dell’uomo nuovo. Quel disegno studiato e applicato durante il Ventennio teso a costruire un nuovo cittadino e tra le righe si evince il dolore per il tradimento degli italiani verso quell’ideale, che aveva in sé il germe di un nuovo corso. E qui la rivoluzione di Almirante segretario: l’aver dato anima e futuro ad un gruppo di ex fascisti, ex repubblicani, che rischiavano di cadere vittime della stessa sindrome vissuta (per scelta da parte del PCI) dai partigiani comunisti. Ovvero il fenomeno della “cristallizzazione” degli ideali gettati sul campo della guerra civile. Il fermarsi immobili ad essere solamente e isolatamente antifascisti.
Per questo corso nuovo su binari già distesi, si hanno le scelte nette contro il brigatismo nero, ma anche le sfide del 1972 quando nel bisogno di mostrare i muscoli il Movimento Sociale non si sottrae allo scontro. E infine il canto del cigno di uno statista consapevole del tempo che passa. Si consuma in una intervista a Daniele Protti nella quale Almirante afferma: “Io non voglio morire da fascista. Tanto che sto lavorando per individuare e far crescere chi dovrà prendere le redini del Msi dopo di me. Giovane, nato dopo la fine della guerra. Non fascista. Non nostalgico. Che creda, come ormai credo anch’io, in quelle istituzioni, in questa Costituzione”.
Non è solo una frase estrapolata da una lunga intervista tutta da leggere e decifrare, ma il segno che Giorgio Almirante è stato un vero statista, ovvero un uomo che grazie alla propria statura morale ha saputo traghettare un partito, che rischiava la deriva estremista, a completare i banchi della destra ideologica e culturale, pronto a erigere “una diga morale e politica” in Italia contro tutte le derive.
Ma il riconoscimento che ognuno dovrebbe ricordare e mai dimenticare, che segna il passo anche verso coloro che osteggiano il libro solamente dal titolo, si compì il 10 giugno del 1984, quando in via delle Botteghe Oscure era stata aperta la camera ardente di Enrico Berlinguer. Qui, da solo, a piedi, tra la folla giunse, accolto poi da Nilde Iotti e Giancarlo Pajetta, Giorgio Almirante. E Aldo Grandi mette in evidenza nella parabola della vita di quest’uomo anche il gesto estremo di umiltà, lealtà, rispetto e correttezza. Ecco Aldo Grandi ha scritto una biografia nella quale lo storico segretario del Msi è un fiero oppositore del sistema, fascista, mussoliniano, duro e pronto allo scontro fisico, ma anche disposto a certificare la fine dell’esperienza nostalgica. Giorni che non torneranno mai più.
E qui si apre la svolta nella destra italiana che gli permetterà di diventare poi asse portante dell’esperienza politica del ventennio berlusconiano (con i numerosi distinguo). Ovvero il fatto di aver accettato il mutamento con relativo sdoganamento e di aver superato esso stesso il diaframma dell’antifascismo. Diaframma che per la sinistra ancora oggi è chiusura aprioristica e dunque mancanza di confronto e di crescita (della stessa sinistra).
Questo Almirante lo aveva capito a metà degli anni ’80, così come aveva compreso che “per risolvere la crisi economica non serve aumentare le tasse o frenare lo sviluppo. Non bisogna ridurre il costo del lavoro, ma il costo del regime”.
Il libro è tutto da leggere e criticare. Da amare o odiare come si fa con i libri, ma con una lezione che esce da uno degli ultimi interventi del segretario: “L’importante è saper parlare di fascismo”.
Ecco Aldo Grandi parla di Almirante, di fascismo, di repubbliche e di scelte, facendolo con il tatto dello scrittore e il piglio del giornalista. Il risultato è che con questo libro si apre una nuova pagina, non composta di revisionismo o di passaggi nostalgici – troppo chiare, nette e indiscutibili le responsabilità di Mussolini e del fascismo nella tragedia in Libia, in Etiopia e nella Seconda guerra mondiale, dirompenti le scelte delle Leggi razziali – ma di studio, analisi di ottanta anni di storia del nostro paese.
Giorgio Almirante morì il 22 maggio del 1988 e il giorno dopo Indro Montanelli ne scrisse il “coccodrillo”, l’epitaffio. In poche righe è condensato il pensiero e l’azione di un uomo, temuto e odiato da vivo e che da morto incute ancora un immeritato terrore (lui fu il primo e ben prima del Pci a condannare il terrorismo politico). Ma queste righe intense, asciutte e ben educate del giornalista di Fucecchio leggetevele nel libro di Aldo Grandi, perché leggere aiuta ad essere liberi; anche dai pregiudizi, dai falsi moralismi e dalle ignoranze.

Andrea Giannasi

1 thoughts on “Senza aver paura di leggere una biografia su Giorgio Almirante e sulla necessità di dover superare l’antifascismo

  1. aldo grandi ha detto:

    Una bella idea. Inoltre una grafica pulita e testi curati. In bocca al lupo

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